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Claudicazione Intermittente

A Cura di GM. Andreozzi

La claudicazione (letteralmente zoppia è un disturbo del cammino che può essere dovuto a molteplici cause. Un’attenta analisi della storia clinica e della sintomatologia riferita (anamnesi) consente al Medico di individuare agevolmente l’origine del disturbo ed orientare adeguatamente il percorso diagnostico.

Quando al termine claudicazione viene aggiunto l’aggettivo intermittente, si intende caratterizzare un particolare disturbo dovuto alla riduzione della quantità di sangue che giunge alle gambe.

Il disturbo è assente a riposo e si manifesta soltanto durante il cammino, più spesso con un crampo al polpaccio, ma la sede può interessare il piede, la coscia, i glutei, ed il disturbo essere avvertito anche come senso di insugherimento, intorpidimento dell’arto. Oltre che durante il cammino il disturbo può manifestarsi nel salire una o più rampe di scale, e questa condizione è ritenuta oggi, in un periodo in cui si cammina poco, più sensibile rispetto alla originaria descrizione.

Caratteristica specifica della claudicazione intermittente è la scomparsa del disturbo appena si arresta la marcia o comunque il movimento. Il sollievo è rapidissimo (da 30 secondi a qualche minuto), non occorre sedersi o distendersi. Questa peculiare caratteristica fa si che chi ne è affetto camuffa il proprio disturbo arrestandosi appena inizia il fastidio, fingendo di interessarsi alle esposizioni dei negozi (malattia delle vetrine).

La causa organica del disturbo sono il restringimento o l’occlusione in uno o più punti delle arterie che portano il sangue alle gambe; essa si instaura lentamente nel corso degli anni per evoluzione della malattia aterosclerotica.

La claudicazione viene distinta in:

lieve, quando il dolore insorge dopo un cammino di oltre 200 m o salendo più di due rampe di scale;

moderata, quando il dolore insorge dopo un cammino compreso tra i 100 e i 200 m, o salendo più di una rampa di scale;

severa, quando il dolore insorge dopo un cammino inferiore a 100 m o salendo meno di una rampa di scale.

Il disturbo necessita sempre di approfondimenti specialistici, volti a quantificare l’entità del danno organico e la necessità o meno di un intervento di rivascolarizzazione, che non va eseguito né precocemente né tardivamente.

La claudicazione intermittente può migliorare sensibilmente, con aumento significativo della distanza percorribile senza dolore

sospendendo il fumo (abitudine molto frequente nei claudicanti),

– prendendo le medicine che il Medico prescrive,

– svolgendo un regolare programma di attività fisica.

Il programma di attività fisica (training) può essere consigliato, cioè genericamente indicato, lasciando lo svolgimento alla libera iniziativa del paziente, o controllato,  vale a dire eseguito in ambiente protetto come le Unità Operative di Angiologia, presso le quali l’entità del disturbo viene esattamente quantificata e il tipo di training personalizzato. Al programma controllato vengono solitamente avviati i pazienti con autonomia di marcia alquanto ridotta.

In entrambi i casi occorre avere un criterio di riferimento per valutare l’entità del disturbo ed il suo andamento nel tempo (miglioramento o peggioramento). Il test più accreditato a tale scopo è la marcia su tappeto ruotante (treadmill test) a velocità e pendenza predeterminate. Il treadmill test, a fronte di una elevata sensibilità nell’individuare i soggetti affetti realmente da claudicazione intermittente, ha il difetto di sollecitare un cammino non fisiologico, con una pendenza obbligata e soprattutto con il terreno che scorre sotto i piedi. Per questo motivo il treadmill test viene riservato a casi selezionati preventivamente mediante altri test.

Tra le alternative più accreditate il nostro team utilizza il test della marcia spontanea dei 6 minuti (6minutes walking test 6MWT). Il paziente cammina, con passo regolare, in un corridoio di lunghezza conosciuta, annotando la distanza alla quale inizia il dolore al polpaccio (distanza di claudicazione iniziale ICD), la distanza alla quale è costretto ad arrestare il cammino (distanza di claudicazione assoluta ACD), ed il tempo di riposo necessario per poter riprendere la marcia (tempo di recupero). Se si cammina per 6 minuti senza alcun disturbo, il test viene considerato negativo.

Se sospetti (o sai) di essere un claudicante, esegui il 6MWT ed invia i risultati ad ANGIO-PD utilizzando il pulsante inserito nella Homepage.

Quando è consigliabile un intervento di rivascolarizzazione nel paziente claudicante?

Nel paziente con claudicazione lieve la rivascolarizzazione di solito non è indicata.

In caso di claudicazione moderata, la rivascolarizzazione va presa in considerazione qualora il miglior trattamento medico (farmaci anti-aterotrombotici, training fisico e farmaci per la claudicazione) non abbia ottenuto il miglioramento o la stabilizzazione dell’AOP.

Nel paziente con claudicazione severa, la rivascolarizzazione è la prima opzione terapeutica da rendere in considerazione.

L’opzione di rivascolarizzazione va presa in considerazione anche nel caso di claudicazione lieve o moderata, se l’handicap fisico ha carattere invalidante.

Questo aggettivo ha un significato esclusivamente soggettivo; una capacità di marcia senza dolore di 200 m può garantire una soddisfacente qualità di vita a un settantenne, ma può essere invalidante per un cinquantenne, che ha esigenze di vita di relazione e professionale decisamente differenti.

Questa differente valutazione soggettiva della propria disabilità induce non di rado il paziente  a richiedere una procedura di rivascolarizzazione.

Il protocollo di Padova (elaborato dalla nostra U.O. insieme ai Colleghi della Chirurgia Vascolare) prevede un comportamento differente a seconda del quadro anatomico e clinico del paziente. In alcuni casi la richiesta del paziente è accolta (restringimenti e ostruzioni localizzate), in altre rifiutata (malattia arteriosa molto estesa, coinvolgente le arterie di coscia e di gamba), in altre ancora è consigliata anche in assenza di una specifica richiesta del paziente (severa malattia aorto-iliaca).

È importante sottolineare che la sola richiesta del paziente non può essere l’unico criterio su cui basare la decisione, e che una precisa valutazione dei rischi connessi alla rivascolarizzazione deve essere sempre eseguita.

[Deriu G, Andreozzi GM, Grego F, Martini R. Indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica, classica ed endovascolare, nel paziente con arteriopatia obliterante periferica. Minerva Cardioangiol 2001; 49 (Suppl. 1): 54-6]

Le recenti tecniche di rivascolarizzazione endovascolare (angioplastica con palloncino ed applicazione di stent) hanno modificato le indicazioni alla rivascolarizzazione nel paziente claudicante?

È una domanda molto frequente e le opinioni al riguardo sono molto dibattute. Alcuni specialisti ritengono che la relativa facilità di esecuzione delle procedure endovascolari abbiano già modificato il comportamento al riguardo assottigliando il confine tra la non indicazione e l’indicazione alla rivascolarizzazione. Di fatto c’è una maggiore richiesta da parte dei pazienti (influenzati dai media) e gli specialisti intervengono molto più frequentemente.

Altri ritengono che, nonostante la semplicità delle procedure, le indicazioni non siano modificate, e che debba essere sempre il quadro clinico a guidare la scelta tra le varie opzioni terapeutiche. Infatti, non è assolutamente dimostrato che una precoce dilatazione con palloncino si associ ad una migliore evoluzione futura del paziente, mentre è certo che dilatare l’arteria ristretta non significa ripristinare le condizioni tessutali precedenti al restringimento. Né va dimenticato che, nel proporre al paziente una procedura endovascolare (come per tutte le procedure invasive) è necessario informarlo adeguatamente sulle opzioni terapeutiche alternative. Trattare una stenosi con angioplastica e stent soltanto perché è stata diagnosticata non è etico ed aumenta senza motivo la spesa sanitaria.